Il Tennis Club Parioli sorse a Roma nella zona nord, nelle aree che erano state destinate a soddisfare le esigenze degli sportivi.
In quei primi anni del Novecento, alcuni circoli di canottieri erano già sorti sulle sponde del Tevere e dell’Aniene.
Per giocare a tennis servivano spazi più grandi e sotto la collina del Monte Parioli esistevano già i progetti di alcuni insediamenti.
Qui prese corpo il T.C. Parioli, per iniziativa di una gruppo di persone tra cui Aragno, titolare del celebre caffè, il figlio del maestro Mascagni, Ilo Nunes, i fratelli Serventi e Millo Nathan, partendo da una baracca di quaranta metri quadrati, compresi gli spogliatoi per uomini e signore, docce fredde e spifferi spartani che entravano da tutte le parti, fischiando fra le fessure del tavolato.
E il nuovo club, nacque subito con uno stile moderno e con una apertura di vedute che lo caratterizzava da tutti gli altri circoli di Roma.
Il primo campione ad approdare al Tennis Club Parioli fu in piena Prima Guerra Mondiale il giovane Giorgio De Stefani, giunto a Roma con la famiglia, in fuga dal Veneto dopo che gli austriaci avevano sfondato il fronte a Caporetto.
De Stefani, ambidestro naturale, aveva iniziato a giocare impugnando la racchetta con la destra e con la sinistra, in pratica possedeva due diritti e aveva rinunciato ad eseguire il rovescio. Fu il primo che seppe distinguersi a livello internazionale. È rimasto leggendario per il suo stile da perfetto gentiluomo. Il suo risultato più importante l’ottenne raggiungendo le semifinali del Forest Hill nell’anno in cui l’Italia venne colpita dalle sanzioni per la conquista dell’Etiopia. Negli USA trovò un clima ostile, ma la sua sportività (riconobbe all’avversario una palla che l’arbitro gli aveva erroneamente attribuita) gli riconquistò il pubblico.
Dopo di lui ci fu il triestino Uberto De Morpurgo, che cominciò a difendere i colori nazionali in Coppa Davis nel 1923. Insuperabile per la sua aggressività ed il suo mordente, De Morpurgo è stato un grande giocatore ma anche un impareggiabile capitano, trascinatore dei suoi compagni di squadra.
Giovanni Palmieri era piccolo, scuro, con enormi occhi a mandorla. Dotato di una classe naturale, a tredici anni riuscì già a battere due vecchie bandiere del Parioli, come Sabbadini e Serventi, guadagnandosi l’attenzione di tutti. La sua fama gli procurò l’incarico (e lo stipendio) di maestro delle principesse Maria, Mafalda e Giovanna di Savoia. Dava del lei agli avversari, compresi i compagni di circolo De Morpurgo e De Stefani, che batteva rimontando spesso grandi handicap.
In campo femminile, undici volte campionessa d’Italia (7 volte nel singolare), Silvana Lazzarino è stata tra le più grandi tenniste italiane di tutti i tempi. Aveva un tennis aggraziato e intelligente; non privo di doti atletiche e di quel pizzico di frenesia che le veniva dal carattere, ma la prima sensazione che si aveva nell’osservarla era quella dell’equilibrio, della misura, dell’energia racchiusa nelle geometrie che disegnava sul campo. La chiamavano Minnie per la saggezza e la simpatia più ancora che per le forme minute. Ma era anche la regina dei treni perché ai tornei andava in vagone letto. Non si trattava di snobismo, tutt’altro, era sacrosanto timore degli aerei e fu proprio quello il motivo del suo ritiro nel 1964 alle soglie di un tennis che stava diventando assai simile a quello odierno, tutto viaggi e trasvolate.
Grandi soddisfazioni al Tennis Club Parioli arrivarono da due romani, Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta.
Non s’era mai visto in Italia un giocatore come Pietrangeli. Dotato di un fisico eccezionale e di uno stile elegantissimo si rivelò subito come un grande giocatore di fondo, dai passanti micidiali (straordinario il rovescio), effettuati con la stessa impugnatura. Nel 1959 e 1960 vinse il Roland Garros a Parigi, considerato il campionato del mondo sulla terra battuta, raggiungendo il 3° posto assoluto nelle classifiche mondiali. Detiene i record mondiali delle partite giocate in Davis (164) e di quelle vinte (120). Ha vinto due volte (1957 e 1961) gli Internazionali d’Italia. A Wimbledon è arrivato in semifinale nel 1960 (sconfitto da Laver 6-4 al quinto) e nella finale del doppio con Sirola, nel 1955, contro Hoad Rosewall.
Adriano Panatta è figlio del Parioli in senso così intimamente familiare che per anni i soci hanno stentato a riconoscere in quel ragazzo di casa il campione di statura internazionale. Il suo tennis era più aggressivo, più dinamico, più incisivo di quello di Nicola e il suo timido sorriso nascondeva una tenace determinazione. Panatta ha vinto Roma, ha vinto Parigi, ha battuto i più grandi campioni del suo tempo e appartiene alla ristretta aristocrazia del tennis italiano.
La stella di Corrado Barazzutti, friulano, apparve per la prima volta sull’orizzonte del tennis italiano in un incontro di Coppa Davis giocato a Torino nel 1973, quando riuscì a battere, tra la sorpresa generale, nientemeno che il grande Manolo Santana. Grande e tenace singolarista (ha figurato a lungo tra i primi dieci del mondo), Barazzutti ha fatto squadra con Panatta in numerosi incontri di Davis, sino alla vittoria della Coppa del 1976 in Cile (insieme a Paolo Bertolucci e con Pietrangeli capitano), della quale fu protagonista, aggiudicando all’Italia il primo, delicatissimo punto contro Fillol. Nel 1982 garantì al Parioli la vittoria nel “Memorial Matteoli”.
Ma i tempi stavano cambiando e bisognava adeguare un’altra volta le scelte ai mutamenti della società.
Ormai i campioni di vertice erano veri e propri professionisti, il loro ingaggio costava e la scuola tennistica italiana, dopo la fioritura che aveva portato l’Italia a vincere la Coppa Davis, s’era impoverita.
Piuttosto che ricorrere ad uno sponsor e stipendiare mezze figure, il Tennis Club Parioli decise di investire le proprie risorse nella Scuola di tennis.
Se a livello individuale due soli nomi, negli ultimi vent’anni, quelli di Pistolesi e di Pescosolido, si sono aggiunti ai 29 titoli assoluti precedenti, nell’attività di squadra il Parioli ha legittimato la sua scelta coraggiosa con una costellazione di titoli nazionali, vinti con il vecchio spirito di club che ha saputo accomunare soci e maestri.
Per cinque volte il Tennis Club Parioli, in questa fase più recente della sua storia, ha vinto il “Trofeo FIT”, lo scudetto del tennis, per due volte la Coppa Croce (Serie B maschile) e la Coppa Facchinetti (Serie C maschile), mentre a livello femminile ha vinto quattro edizioni della Coppa Bellegarde (Serie C femminile). Anche la Coppa Italia, sia maschile che femminile, è venuta ad onorare la classe dei nostri campioni fatti in casa. E le vittorie a livello di Under 12/14/16/18 stanno a testimoniare la continuità di un indirizzo di vertice delle ultime generazioni parioline.
Di grande prestigio per il circolo anche la medaglia d’oro di Vincenzo Santopadre ai Giochi del Mediterraneo 1997 e il successo nella “Lambertenghi” del giovanissimo Yari Natali, che nel novembre 2000 ha toccato il primo posto assoluto in Europa nella classifica Under 14.
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